Napoli Velata di Ferzan Ozpetek (2017)

E con questo film faccio pace con Ozpetek.
Per una volta non ho pensato che dietro la cinepresa ci fosse l’imitatore (meno visionario) di Almodovar. Merito sicuramente di una Napoli superbamente bella in cui la telecamera sembra volersi immergere fino al dettaglio dello scalino di marmo o dentro l’utero velato della farmacia degli incurabili; protagonista delle feste - con le voci fuori campo - delle assenze, e della storia.

In più questa volta Ferzan guarda le donne e ne guarda tante: dalle arpie fumettose (Isabella Ferrari e Lina Sastri), alla dolente zia Adele (Anna Bonaiuto) un po’ la signora dei misteri (“la gente non sopporta troppa verità”), alla splendida Catena (Luisa Ranieri) che cuce il tessuto profondo della città - tra fattucchiere, numeri della smorfia e fatalismo - alla trama della storia, la commissario Maria Pia Calzone, forse un po’ troppo ‘CSI’ per Napoli, è quella che a me è piaciuta meno.

Giovanna Mezzogiorno è la (brava) coprotagonista della città. Insieme alla morte. Sarà l’anno appena finito ma....
La morte è sempre una lacerazione ma ci sono casi in cui diventa uno scandalo. Ovvero qualcosa di insostenibile ed inaccettabile per le capacità umane.
La sopportazione del dolore pazzo che tale scandalo suscita, nell’attesa che il potere della distrazione intervenga ad alleggerire il dolore fino a disinnescarlo, obbliga ad un’acrobazia eroica, come fa il funambolo, in bilico tra ragione e follia.
Özpetek ce la racconta immergendosi totalmente.
Di Adriana vediamo la solitudine (nonostante le invidiabili “famiglie” che questo regista sempre mette intorno ai suoi personaggi), la sensualità, la fatica. La follia però ce la svela attraverso lo sguardo innamorato di un uomo che l’ha provata a sua volta e può comprenderla. E che - come un Virgilio- riesce a portare Adriana fuori dagli inferi.

Tanti i temi toccati in questo viaggio: il potere dell’immaginazione femminile, il destino atavico di tenere insieme l’inconciliabile, l’occhio... nella scena iniziale vertiginosa delle scale, gli occhi strappati ad Andrea, l’occhio egizio sul muro dell’antro delle arpie, il portafortuna ereditato dal padre, un gruppo di ciechi che Adriana deve superare...

Occhi, come quello della telecamera del regista, che troppo chiedono ad una città misteriosa e piena di segreti, in cui ci avventuriamo accompagnati da un Peppe Barra (Pasquale) che ‘tutto sa’ perché tutto sente.
E questi occhi, invece, vedono davvero?
Oppure, in fondo, la sopportazione di non poter capire tutto, come Adriana nell’ultima scena, è il prezzo che viene chiesto ai ‘toccati’ per non resistere alla vita che sempre, sempre, e sempre rinasce e ricomincia?


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