L'insulto di Ziad Doueiri

Su l'Insulto, premetto che ogni nuovo film che voglia mettere voce sul conflitto mediorientale sperando di sollevarsi dal già detto è da apprezzare per l'audacia.

Ma la cosa che mi ha colpito immediatamente è stato il linguaggio cinematografico. Che era il mio. Voglio dire, occidentale, americano... insomma la grammatica visiva che ci ha cresciuto a noi pasciuti al di qua della cortina di ferro e al di quà del Mediterraneo. C'è pure la sosia di Sandra Bullock.
Ho pensato ad una conseguenza del terrorismo, dell'Isis... 


Quando poi la vicenda si infittisce ed il film prende le forme del "legal drama" lo spaesamento è ancora più forte. Il legal drama per me sta agli US come il tacchino del giorno del Ringraziamento e il Superbowl, un po' come la pizza, il mandolino e il melodramma stanno all'Italia. 


Quindi, mi chiedevo, cosa sto guardando? 


La storia, in breve, narra del litigio banale tra un palestinese immigrato ed un libanese conservatore.

C'è una scena che mi perseguita, in cui i due protagonisti, usciti da un colloquio fallimentare con una figura politica di spicco che cerca di mediare, si avvicinano alle rispettive macchine parcheggiate a fianco a fianco senza parlare. La macchina del palestinese non parte. Il libanese dopo pochi minuti torna indietro, apre il cofano dell'altra macchina e la fa ripartire. E poi se ne va, senza un fiato. 

La tensione di questa scena è data dalla polarità tra il pregiudizio razziale con tutte le sue "giustificazioni", storiche ed emotive, e una sorta di contiguità, di sentimento di convivenza civile che è un automatismo (come il pregiudizio) ma che spinge verso un riconoscimento psicologico dell'altro, verso un approccio quotidiano, normale.

E' qualcosa che tutti abbiamo sperimentato in qualche modo, per esempio quando vediamo i migranti come il Male (relativo o assoluto) ma raccontiamo i fatti nostri al panettiere extracomunitario.
Personalmente su questa scena non ho ancora chiuso il dialogo, dato che mi si ripropone con insistenza e quindi dovrò continuare a cercare di capire cosa mi sta dicendo.

Tornando ad uno sguardo più generale, considerato che il pregiudizio - non solo razziale - e soprattutto, il suo "svelamento" agli stessi protagonisti, è un tema portante di tutto i film, trovo estremamente interessante per noi occidentali la scelta del nostro linguaggio cinematografico perché moltiplica ulteriormente gli sguardi in gioco e il loro incrociarsi e sovrapporsi, amplificando l'effetto su un tema così "caldo".
Tra le tante cose, mi è rimasto impresso quanto dice l'avvocato dell'accusa "nessun essere umano (popolo /paese) ha il monopolio del dolore."
Una gran bella consapevolezza a cui aspirare, a cui aggiungerei - come livello advanced - 'e nemmeno dell'innocenza'.




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