IL CANTICO DEI CANTICI adattamento e regia Roberto Latini

Avevo grandi aspettative, lo ammetto, su il Cantico dei cantici di Roberto Latini.
Perché il Cantico dei cantici è un inno all'amore sensuale che ha permeato la nostra cultura e sono anni che mi riprometto di rileggerlo.
E poi perché Roberto Latini è molto ben recensito anche se io, sinceramente, le cose che ho visto sue… boh, non ho mai avuto la sensazione di averlo davvero raggiunto (o forse, col senno di poi, viceversa).
Lavori impeccabili per quel poco che posso valutarne io, da spettatrice innamorata del teatro, ma freddi, con tante belle idee ma in genere già viste. E soprattutto poca emozione. Quindi ero curiosa di avere una nuova chance.

In questo spettacolo c'è da dire che ci dà dentro alla grande e sicuramente si spende al 100%  ma anche così, a me, non emoziona. Anzi non mi è proprio piaciuto.

Il Cantico dei cantici, così com'è incastonato nella Bibbia, tra il Qoelet (Ecclesiaste) e il Libro della  Sapienza,  è un'opera meravigliosa che non frantuma la complessità dell'esperienza amorosa, non separa la sensualità e l'erotismo dal sentimento. Nella nostra cultura, il sesso ha sempre avuto a che fare più con la cultura che con la natura (intesa come istinto riproduttivo), a lungo è stato considerato un sapere iniziatico, un oggetto cultuale e sacro.

Latini si moltiplica in più voci, moltiplica il personaggio stesso, alterna la ieraticità della voce profonda che legge i versi del Cantico senza rispettarne l'ordine, in una sorta di zapping spippolato sulla consolle da DJ, con i Placebo e la Carrà rivisitata da Bob Sinclair che canta “a far l’amore, comincia tu”, facendo ondeggiare a tempo anche le signore sedute in sala.....

Nel lamento gridato di  Latini, che raggiunge una sorta di climax ritmato dalle sue spinte pelviche contro il tavolo da DJ, io ho sentito fare a brandelli versi bellissimi che cantano la bellezza e la purezza dell'amore fisico. E no, non mi sono emozionata. Ho sentito la mia mente vagare, surfando sulle occupazioni quotidiane, la lavatrice, la spesa. Non ero più lì.

Mi chiedo dove Latini ci vorrebbe portare. Viviamo in un mondo dove Dio è morto, quindi il sacro deve essere dissacrato. La degenerazione del pop crea quella volgarità che impenna gli ascolti (e gli applausi). Oggi tutto è corrotto e tutto è corruttibile, quindi? non abbiamo più responsabilità?
Personalmente io non riesco a fare mio questo nichilismo, né gli applausi entusiastici che evidentemente porta.

Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.
Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.
Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell'incenso.
Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.
Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!
Osserva dalla cima dell'Amana,
dalla cima del Senìr e dell'Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie d'alberi da incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d'acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano.


In chiusura, una nota sulla disonestà di quelli del teatro Litta che propongono uno spettacolo in un luogo non adatto ( La Cavallerizza), su poche sedie mal disposte dove credo che tutti coloro che - come me - hanno trovato posto dopo la terza fila abbiano sofferto di una visione scarsa o assente, a meno di incastrarsi sulla sedia, in ginocchio ( per tempi limitati). Il tutto per un prezzo assolutamente non popolare. Se non usciamo da questa idea che il teatro me lo devo conquistare e se non fosse che questo va a discapito di chi cerca professionalmente di fare il proprio lavoro, vi meritate le sale vuote.






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