Un anno fa... il cammino materano, da Bari a Matera
Un anno fa, oggi 6 agosto, arrivavo a Matera con la mia amica Marta, dopo 140 km a piedi. Eravamo partite da Bari una settimana prima.
E a Matera scrivevo questo...
'Uno degli elementi più forti del cammino è la vulnerabilità.
Ho capito, camminando, che questo aspetto non nominato esplicitamente era ciò che profondamente provocava le reazioni e le opposizioni più intense al nostro progetto di cammino.
Ciò che io di sicuro ma forse noi non abbiamo visto subito era immediatamente evidente alle persone che ci vogliono bene come ai conoscenti. Domande a cascata sul gruppo, sul tragitto, sui riferimenti. Ecco gli elementi inquietanti del cammino per chi lo vede affrontare da altri sono due: la solitudine e la vulnerabilità.
Camminando sei esposto. Ai pericoli, ai cani randagi, ai malintenzionati. E sei solo, perché non incontri nessuno e la fatica a volte ti toglie la parola. Sei in balia della generosità e dell’intenzionalità altrui. Dipendi da ciò che accade perché sei in strada. E non hai un posto dove ripararti o proteggerti fino al raggiungimento della tua tappa successiva. E non hai nessuno in grado di difenderti.
Quindi che puoi fare? Nulla. Camminare.
Confidare in quella che mia nonna chiamava la Provvidenza.
Camminando ti accorgi - e prendi come un dono - come sia preziosa la nuvola che copre il sole e ti fa ombra, l’albero frondoso sotto cui ti riposi, la fontana a cui ti abbeveri, la strada che degrada in discesa dopo la salita. E ringrazi.
Dentro te o a voce alta ringrazi per le scorpacciate di more, per l’ombra, i pomodori, le mandorle, le pere, per il cane che ringhia ma ti lascia passare. E pensi che forse il mondo non è cattivo e che ognuno deve trovare il modo di confrontarsi con le proprie paure. Ognuno le sue. Perché sono quelle che ci limitano e non il mondo fuori. Non il nostro corpo che è una macchina portentosa. Non il pensiero che può aprirsi come un fiore.
Camminando sudi via tutte le tossine, impregnando le magliette, ed è salato il sudore e bianca la traccia che lascia. È una trasformazione chimica. Avviene qualcosa di simile anche su un piano più sottile.
Penso che in fondo è una suggestione alchemica, quella che mi ha portato qui.
Camminando ad un certo punto il passo prende un ritmo cadenzato. Il corpo lo cerca, dopo giorni di cammino c’è un ritmo che per lui è ottimale. Il corpo lo memorizza. Senti che è l’assetto giusto, rispetto alla strada, al corpo e all'eventuale peso che porti sulle spalle. È un punto di equilibrio, bassa energia, ovviamente dinamico.
Su quell'assetto in cui il corpo va da sé, la mente è improvvisamente libera. E smette di pensare. Cioè smette di precipitarsi in avanti nelle cose da fare, nella lista di attività da ricordare, nell'ottimizzazione delle attività in vista di un dopo. È una dimensione simile a quella del sogno o del sogno vigile perché il corpo non è disponibile, sta facendo altro e il pensiero non ha più il potere di distoglierlo da un’attività per fargliene fare un’altra. Deve stare lì.
E quindi cosa fa? In certi momenti si svuota. Sentivo l’acqua delle borracce nel mio zaino e immaginavo che fosse l’acqua nella mia testa, il mio cervello, liquido, un mare mosso dai passi così come le onde si fanno muovere dai venti e dalle correnti...
Ogni tanto emergeva un pensiero, un ricordo di fatti recenti. Simile al sogno.
Tra questi c’è stata una sorta di possessione. Una persona con cui abbiamo interagito mi ha molto infastidito. Percepivo un’insofferenza, un forte fastidio verso un atteggiamento per me speculativo verso il progetto del cammino, ovvero teso verso un utile personale, approfittatore verso una difficoltà nostra, poco ‘pulito’insomma. Con il senno di poi, ho pensato a quel fastidio come ad una sorta di premonizione.
Le informazioni sbagliate date con superficialità da questa persona che si proponeva come referente ci hanno creato qualche difficoltà. Questa cosa ha scatenato in me la furia.
Credo sia perché la vulnerabilità è per me, difficile da accettare. Nel mezzo di un bosco bruciato - che significava no ombra con il sole allo zenit con un’altra ora di cammino davanti, ho dimenticato la fragilità di Marta, che aveva i piedi messi male, la sua fatica, e camminando rabbiosamente a velocità accelerata ho letteralmente spurgato quel veleno.
Come il sale sulla maglietta. Trovandomi di fronte a questa persona che avrei voluto bullizzare e offendere con rabbia, la pacata reazione di Marta e un’esplicita sua richiesta mi hanno indotto a silenziarmi.
L’incontro con i briganti fa parte del cammino. Ma in tutto questo era evidente che la montagna di sale fosse la mia. Mia la ferita. Mia la miniera. Mia l’onda emotiva di una rabbia che ogni abuso - anche minimo- nei confronti della vulnerabilità e dell’innocenza mi scatena. Perché come il viandante, anche una bambina non ha difesa.
Se devo pensare alle mie sensazioni ho avuto in generale la percezione di un'apertura.
La mente all’erta, estremamente presente.
Gli stimoli visivi sono continui. Anche olfattivi. Le torsioni degli ulivi, gli orizzonti, le poiane, il fuoco, le pale eoliche i campi fotovoltaici. Le antenne aliene (piante strane). Il cielo.
Il cielo è sempre uno stimolo visivo potente perché ha il governo della luce. Usa le nuvole e il tempo. Vivifica o appiattisce.
E poi la morte.
La volpe piccolina investita da un'auto. La volpe adulta che attraversava il campo.
Gli animali della fattoria di Giuseppe, tutti condannati e ora li a godersi la vecchiaia senza rischio alcuno.
L’attraversamento delle periferie e il contare nella fatica, il contare i passi.
Superata la fatica dei primi giorni, ecco che le distanze perdono importanza. Mai come in questi giorni mi è stato chiaro che l’importante è l'inizio. Fare il primo passo. Gli inizi sono bellissimi.
Ma per apprezzarli devi fidarti. Le persone sono mutevoli. Tutto è mutevole. L'affetto può essere sincero ma questo non eviterà a nessuno di ferire e di tradire. Occorre farsene una ragione. E proseguire il cammino.
Tra ananke e destino.
“Ritirarci. Tacere: il proseguire in solitudine, lungi dal tracciare una chiusura, apre la sola e durevole e reale via di accesso agli altri, all'alterità che è in noi e che è negli altri come l’ombra portata di un astro, solare, benevolo. (...)
E’ in questa distanza [della solitudine] che l’amore si gioca , che non è un gioco, che è anche un gioco, una contesa di luci, un radicalizzarsi imprevedibile, imprevisto, delle luci, nel tempo e nello spazio che separano ciascuno di noi da ogni nostra morte. “
Christian Bobin, "Sovranità del vuoto"
Tappa 0 - Bari |
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Tappa 5 - Altamura -Gravina |
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Tappa 6 Gravina- Santuario di Picciano |
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