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La Favorita di Yorgos Lanthimos (2018)

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La favorita è un film ricco, magnifico, sontuoso, immaginifico. La colonna sonora è una specie di laccio ipnotico che ti accompagna in una storia che è una storia del potere (quello maschile per eccellenza) rivisto attraverso tre donne protagoniste.  Gli uomini hanno ruoli di secondo piano e la loro dignità viene messa in ridicolo, oltre che dalle parrucche esagerate, da simpatici giochi di società che deformano le facce nello slow motion. Invece l’entrata in scena delle donne viene spesso anticipata o accompagnata dall’uso del grandangolo che rotondeggia su saloni regali, edifici istituzionali o un bosco che è quello delle fiabe. Ecco. Scelte tecniche abbastanza inedite, almeno per me, che in qualche modo, che non so dire, sento voler spingere verso un cambio di sguardo che supera le definizioni di genere maschile e femminile. Tutto ruota intorno ad una regina triste, malata e capricciosa, con i suoi 17 conigli che alludono a quale avrebbe dovuto esser il suo ruolo di regin

Ex Anima - Bartabas, Teatro equestre Zingaro

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“J’ai vu parfois dans le regard d’un cheval la beautè inhumaine d’un monde avant le passage des hommes”. Bartabas Forse in altra sede, prima o poi spiegherò come ci sono arrivata, ma questa storia comincia qui. Alle 17 di domenica 30 dicembre 2018, davanti all’ingresso del teatro equestre Zingaro di Bartabas, nella periferia di Parigi. Varcato il cancello, veniamo indirizzati verso l’Accueil/ Ristorante. Una porta di legno è la prima soglia di un mondo. L’edificio ha una struttura circolare con un tetto a capanna, dai tappeti su cui camminiamo, fino allo spazio sopra di noi, non c’è centimetro che non sia occupato da locandine, immagini, abiti di scena, pupazzi, oggetti scenografici degli spettacoli precedenti. Il cerchio su cui appoggia il tetto riproduce il cerchio dello spazio scenico: riconosco l’auto con gli sposi, la vasca con il maiale appeso pronto per essere squartato, il vecchio con l’orso, la carovana del circo… Cavalli e scheletri (di uomini, di cavalli, di uccelli)

Dogman di Matteo Garrone

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Il ringhio feroce e spaventato di un pitbull bianco, ancorato al muro da una grossa catena che gli cinge il collo. Intorno un uomo esile, con enormi occhi miti, saltella cercando di ammansirlo, di avvicinarlo, blandirlo con biscotti e parole di dolcezza. È la prima scena di Dogman, il film di Matteo Garrone, che anticipa il momento in cui Marcello (Marcello Fonte)  si vendica di tutte le angherie subite, uccidendo il suo persecutore, Simone (Edoardo Pesce). E’ un film duro, Dogman, senza concessioni. Va dritto per la sua strada e non ti ammicca. Ma manco un po’. Si, Marcello è un uomo quieto, fisicamente minuto. Ha questa voce da paperino, divide la cena con il suo cane e adora la sua bambina con cui fa affettuose immersioni a guardare il nulla sommerso, lo stesso nulla, popolato da relitti, che c’è nel paesaggio fuori, con poche altalene e un drago grigio che fissa ebete davanti a sé, locomotiva di un trenino abbandonato sul binario a ellisse. L’unica bellezza di quelle immersi

IL CANTICO DEI CANTICI adattamento e regia Roberto Latini

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Avevo grandi aspettative, lo ammetto, su il Cantico dei cantici di Roberto Latini. Perché il Cantico dei cantici è un inno all'amore sensuale che ha permeato la nostra cultura e sono anni che mi riprometto di rileggerlo. E poi perché Roberto Latini è molto ben recensito anche se io, sinceramente, le cose che ho visto sue… boh, non ho mai avuto la sensazione di averlo davvero raggiunto (o forse, col senno di poi, viceversa). Lavori impeccabili per quel poco che posso valutarne io, da spettatrice innamorata del teatro, ma freddi, con tante belle idee ma in genere già viste. E soprattutto poca emozione. Quindi ero curiosa di avere una nuova chance. In questo spettacolo c'è da dire che ci dà dentro alla grande e sicuramente si spende al 100%  ma anche così, a me, non emoziona. Anzi non mi è proprio piaciuto. Il Cantico dei cantici, così com'è incastonato nella Bibbia, tra il Qoelet (Ecclesiaste) e il Libro della  Sapienza,  è un'opera meravigliosa che non frantuma la

Il cielo non è un fondale. Daria Deflorian/ Antonio Tagliarini

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In scena oltre a Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, ci sono Francesco Alberici e Monica Demuru, che con la sua splendida voce canta alcuni pezzi di Mina, facendo davvero venire i brividi. Bravissimi, tutti. Al solito, non mi ero preparata, ma ero solo felice di rivedere Daria Deflorian, certa che non sarei stata delusa. Amo sedermi a teatro al mio posto e farmi rapire. Quando entriamo loro sono già in scena, Daria appoggiata al calorifero. Ci anticipano che ci chiederanno di chiudere gli occhi. Per i cambi di scena. Buffo, sono anche io una quinta, un fondale? Immediatamente mi sento parte del loro fare teatro. Della loro specialissima semplicità che tradisce una bravura e una preparazione incredibile. Penso a Daria, che trovo brava assoluta, che si racconta al supermercato o ai giardinetti. Mi riconosco. Penso ‘anche io’  e sento che lo pensiamo tutti. Rivedo la scena in cui Antonio si toglie i pantaloni, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Un gesto totalmente ricodifica

Dance first, think later. It's the natural order. Un suggerimento di Samuel Beckett

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Foto Alberto Catera © A fine aprile ho trascorso una settimana per l'Interculturale Clown - Primavera 2018, condotto da Robert McNeer e Mirco Trevisan, insieme a 14 avventurosi alla Luna nel Pozzo (Ostuni) - posto (davvero tanto) magico creato da Robert e sua moglie, Pia Wachter. Cinque giorni per giocare esplorare, danzare, sperimentare, accompagnati dalla musica, dai suoni, dalle voci. Lingue diverse, suoni diversi. Paesaggi diversi. Anche abilità diverse. Quattordici apprendisti clown alla scoperta del mondo, di sé, degli altri, della natura bella e libera che fa della Luna nel Pozzo il posto speciale che è. Libera qui la natura lo è non tanto perché selvatica, ma perché - curatissima - è lasciata libera di esprimersi, sotto uno sguardo amoroso, accudente, rispettoso dello spazio vitale necessario ma pronto ad intervenire al bisogno. Non ho visto ramo fragile privo di sostegno. Alla stessa libertà siamo stati invitati noi 14. Accompagnati con gradualità da Robert

L'insulto di Ziad Doueiri

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Su l'Insulto, premetto che ogni nuovo film che voglia mettere voce sul conflitto mediorientale sperando di sollevarsi dal già detto è da apprezzare per l'audacia. Ma la cosa che mi ha colpito immediatamente è stato il linguaggio cinematografico. Che era il mio. Voglio dire, occidentale, americano... insomma la grammatica visiva che ci ha cresciuto a noi pasciuti al di qua della cortina di ferro e al di quà del Mediterraneo. C'è pure la sosia d i Sandra Bullock. Ho pensato ad una conseguenza del terrorismo, dell'Isis...  Quando poi la vicenda si infittisce ed il film prende le forme del "legal drama" lo spaesamento è ancora più forte. Il legal drama per me sta agli US come il tacchino del giorno del Ringraziamento e il Superbowl, un po' come la pizza, il mandolino e il melodramma stanno all'Italia.  Quindi, mi chiedevo, cosa sto guardando?  La storia, in breve, narra del litigio banale tra un palestinese immigrato ed un libanese conservatore.